I trattamenti medici, nonché l'assistenza infermieristica possono essere pianificati e personalizzati al massimo in funzione della quantità e qualità dei dati raccolti dal paziente al momento del primo contatto, quando vengono compilate la cartella clinica e la scheda infermieristica.
In relazione alla tutela dei dati personali così acquisiti, si impongono, tuttavia, cogenti esigenze di tutela della riservatezza: le informazioni sul paziente devono essere preservate da occhi indiscreti, ovvero da accessi da parte di terzi non autorizzati.
Salvaguardare la riservatezza dell'utente o cliente è ormai un comportamento radicato in ogni settore di attività professionale, nonostante le complicazioni indotte da una normativa farraginosa. Di recente, il varo del “Codice per la tutela dei dati personali” (D.lgs. 196/03) ha introdotto numerose semplificazioni.
Negli anni seguenti all'emanazione del decreto, comunque, non sono mancati reclami e segnalazioni all'Autorità Garante dei dati personali da parte dei cittadini, i quali hanno evidenziato che alcune strutture sanitarie, dei cui servizi usufruivano, non rispettavano le garanzie previste dalla legge.
Tali richieste di intervento, unitamente a clamorosi episodi di cronaca (come la scoperta, in un ospedale siciliano in corso di ristrutturazione, di centinaia di cartelle cliniche gettate nella spazzatura) hanno spinto l'Autorità ad emanare un provvedimento generale, adottato il 9 novembre del 2005, con il quale si è richiamata l'attenzione delle strutture sanitarie pubbliche e private, in ordine alla necessità di adeguare il proprio funzionamento e l'organizzazione alle previsioni stabilite dal Codice sulla protezione di dati personali.
Scopo principale dell'intervento del Garante è stato quello di dare piena attuazione al dettato dell'art. 83 del Codice medesimo, che intende garantire, nel trattamento dei dati personali che avviene nell'ambito di prestazioni sanitarie, il rispetto della dignità della persona ed in particolare di alcune categorie di soggetti
- coloro che versano in condizioni di disagio o di bisogno (anziani, minori, disabili fisici e psichici);
- i pazienti sottoposti a trattamenti medici invasivi (tra cui anche quelli chirurgici);
- i pazienti nei cui confronti è comunque doverosa una particolare attenzione, anche per effetto di specifici obblighi di legge o di regolamento o della normativa comunitaria (ad es. sieropositivi, donne che hanno subito violenze sessuali o che si accingono ad interrompere la gravidanza).
Sono state numerose le prescrizioni di dettaglio e le indicazioni pratiche dell'Autorità, che hanno finalmente fatto luce, dopo tanti anni, su molti passaggi operativi che costituivano fonte di dubbio e confusione tra gli operatori della sanità pubblica e privata.
Molte di queste disposizioni riguardano le modalità di accoglienza del malato.
1. I locali utilizzati per lo svolgimento di colloqui.
Il garante ha evidenziato che l'assenza o l'inidoneità dei locali o delle modalità utilizzate nello svolgimento di colloqui con il personale sanitario (ad esempio nei casi di raccolta della documentazione di anamnesi), possono generare situazioni di promiscuità: occorre pertanto evitare che, in tali occasioni, le informazioni sulla salute del soggetto interessato al trattamento dei dati personali (ovvero il paziente, nella terminologia adottata dal Garante per la privacy) possano essere conosciute da terzi, predisponendo ambienti fisicamente separati dal resto dell'unità operativa mediante porte e muri.
Il rispetto di questa garanzia non ostacola, comunque, la possibilità di utilizzare determinate aree per più prestazioni contemporanee, quando tale modalità risponde all'esigenza di diminuire l'impatto psicologico dell'intervento medico (basti pensare a trattamenti sanitari effettuati nei confronti di minori, durante i quali può perfino essere consigliata la presenza di altri bambini).
Nei locali adibiti ad ambulatori per esami e visite mediche, oltre che all’ingresso dei reparti, è inoltre opportuno affiggere, in apposite bacheche, informative sul trattamento dei dati personali, a caratteri sufficientemente grandi da essere ben leggibili e recanti informazioni semplificate, comprensibili da un’utenza variegata.
Limitarsi a riportare integralmente il contenuto degli articoli di legge, infatti, sarebbe controproducente, poiché essi risulterebbero di difficile interpretazione per la maggior parte dei pazienti e degli altri visitatori; anche qualora fossero intellettivamente e culturalmente preparati ad una simile lettura, ben presto ci si annoierebbe e si distoglierebbe lo sguardo.
2. Adozione di segnali e cartelli.
Nella stessa ottica l'Autorità ha suggerito l'uso di inviti, segnali o cartelli e comunque la predisposizione di apposite distanze di cortesia in tutti i casi in cui vengono acquisite informazioni sullo stato di salute del paziente: l'esempio classico, citato anche nella normativa, è quello delle operazioni di sportello, ma il rispetto di criteri di confidenzialità va comunque osservato in tutte le situazioni che obbligano un gruppo di persone, più o meno nutrito, a rimanere in attesa per un certo periodo di tempo: si pensi all'ipotesi, piuttosto frequente, di una molteplicità di ricoveri nella stessa Unità operativa, nell'arco della mattinata.
3. Chiamata non nominativa.
E' prassi comune, tanto per il personale medico quanto infermieristico, rivolgersi al paziente di turno, qualora via siano più persone nello stesso locale, chiamandolo per nome e ad alta voce, per meglio identificarlo. Secondo l'Autorità, tuttavia, ciò costituisce una palese violazione del diritto alla riservatezza del paziente.
All'interno delle strutture sanitarie devono essere infatti adottate soluzioni che prevedano un ordine di precedenza e di chiamata degli interessati che prescinda dalla loro individuazione nominativa: un'ipotesi è l'attribuzione di un codice numerico o alfanumerico, fornito al momento della prenotazione o dell'accettazione. Ovviamente, tale misura non deve essere applicata durante i colloqui tra l'interessato ed il personale medico o amministrativo: ad esempio, quando l'infermiere assiste il paziente nel suo letto.
Quando la chiamata non nominativa può pregiudicare la tempestività o efficacia della prestazione medica (ad es. in caso di particolari caratteristiche del paziente, anche legate ad uno stato di disabilità), possono essere utilizzati altri accorgimenti adeguati ed equivalenti, come il contatto diretto con il paziente.
A seguito dell'evoluzione della normativa in materia di tutela dei dati personali è stata già abolita quasi del tutto un'altra abitudine in uso, fino a qualche tempo addietro, soprattutto nelle strutture ospedaliere: l'affissione di liste di pazienti nei locali destinati all'attesa o comunque aperti al pubblico, con o senza la descrizione del tipo di patologia sofferta o di intervento effettuato o ancora da erogare (ad es., tabelloni adottati dal personale infermieristico per associare i pazienti presenti in reparto ai relativi posti letto).
4. Grafiche e nota operatoria.
Per il Garante non devono essere resi visibili da terzi non legittimati i documenti riepilogativi di condizioni cliniche dell'interessato, come le grafiche poste ai piedi al letto di degenza.
Attualmente, in ogni struttura esse vengono riposte (insieme alla cartella) all'interno dell'ambulatorio infermieristico od in una stanza apposita, nella quale può accedere solo il personale sanitario autorizzato. Lo stesso si può affermare relativamente alla nota operatoria, che indica il nome del paziente e la tipologia di intervento al quale si dovrà sottoporre in una determinata data.
5. Comunicazioni sullo stato di salute al malato.
Coloro che esercitano una professione sanitaria devono adottare particolari accortezze perfino nel comunicare informazioni sullo stato di salute allo stesso paziente, benché questi abbia diritto, come ribadito anche dalla “Carta della qualità in chirurgia”, di accedere e prendere visione della propria cartella medica durante il periodo di degenza. La trasmissione di informazioni, infatti, può avvenire solo per il tramite di un medico (individuato dalla stessa persona ricoverata, oppure dal titolare del trattamento, vale a dire un dirigente della struttura ospedaliera) o di un altro operatore sanitario che, nello svolgimento dei propri compiti, intrattenga rapporti diretti con il paziente (ad esempio, un infermiere designato quale incaricato del trattamento ed autorizzato per iscritto dal titolare).
Tratterò a breve la problematiche dell'accoglienza dei visitatori e soprattutto del consenso al trattamento dei dati personali, materia già complessa di per sé, ma in ogni caso fonte di molte controversie anche a causa del dettato normativo contenuto nell'art. 83 del Codice.
Per ulteriori approfondimenti si può consultare il sito del Garante, www.garanteprivacy.it .
Nessun commento:
Posta un commento